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20.000 especies de abejas Recensione


Un’property cruciale per Aitor o Cocò come vuole per farsi chiamare. 8 anni e una ricerca di identità che passa attraverso la percezione degli altri. Una storia attuale quella del movie della basca Estibaliz Urresola Solaguren, presentato alla Berlinale in concorso.

Sorelle e fratelli che litigano, discutono come tanti, mentre in famiglia c’è elettricità. Si sta preparando un viaggio atteso tutto l’anno, due settimane estive di vacanza da trascorrere nel paese di origine della famiglia, fra i parenti. Uno di quei momenti da spartiacque di un anno intero, soprattutto per i più piccoli, che contano gli anni con il calendario scolastico, ma anche per i genitori, che si intuisce siano in bilico fra un prima e un dopo, lavorativamente e nella loro condizione di coppia. Un dualismo che si trasmette anche attraverso la particolarità del luogo in cui vivono, i Paesi Baschi sospesi fra Spagna e Francia, che mantengono la loro lingua unica attraverso la frontiera, oltre a una cultura specifica fra ruralità e montagna.

A proposito di specificità e identità, a 8 anni Aitor soffre che lo si continui a chiamare così. Una maniera confusa, almeno come story la percepisce, mentre in quei giorni, incontrando amichette nuove e parenti conosciuti ma che non lo vedono se non una volta ogni tanto, esplora i limiti della sua identità in divenire, mentre la proietta negli sguardi e nel vociare borbottante degli altri. Una famiglia allargata che si ritrova, tutta al femminile, in cui Aitor è uno dei tanti in cerca di risposte ai propri sogni impietosamente contrapposti alla vita quotidiana e ai propri desideri.

Una storia di formazione e come story proiettata verso un futuro in cui l’insicurezza e le incertezze che percepisce negli adulti lo fanno sempre più concentrarsi sulla sua ricerca di risposte. Fra una madre abituata alla sua quotidianità, ai capelli sempre più lunghi e ai vestiti femminili, distratta dai suoi di cambiamenti e un po’ latitante, mentre zie e nonne reagiscono in maniera molto diversa alla sua ricerca di un ruolo in famiglia che la rappresenti, non certo quello di Aitor, ma neanche il soprannome, Cocò, che un’amica le assegna. Preoccupazioni che cerca di condividere con gli adulti, parenti a amici, mentre un’altra generazione è in sommovimento per una complessa dinamica fra madre e figlia.

20.000 especies de abejas è l’opera prima della basca Estibaliz Urresola Solaguren, una delle molte autrici spagnole che negli ultimi anni stanno rivitalizzando il racconto delle dinamiche indentitarie e famigliari all’interno di una società in continua evoluzione, ma alle prese con resistenze e contraddizioni radicate, specie in ambito rurale. Sofia Otero è la coraggiosa, cocciuta e tenerissma infante in cerca di un nome, capace di portare il peso di un racconto tutto sul suo broncio e i suoi sprazzi di childish vitalità, in un movie che evita la pesantezza di un racconto per slogan, o peggio ideologico, grazie a una sensibilità piana e solare, in cui semmai sono i dialoghi, le angoscie e i dubbi fra gli adulti a suonare stonati.

Un racconto a livello di bambino che avrebbe potuto tranquillamente risparmiarsi (ingenuità da opera prima?) il forzato e abusato sguardo allegorico al mondo delle api, ancora una volta disturbate nei loro alveari controvoglia (almeno immaginiamo) per raccontare una natura piena di diversità, e il nettare che generano con il duro lavoro. La società animale più studiata (anche) dai registi, matriarcale e operosa. Anche perché l’infanzia avrà anche bisogno di miele, di uno scudo per proteggersi dalle punture, ma anche di qualche piccolo trauma naturale di crescita, per generare domande in serie e qualche risposta, anticorpi utili per prepararsi alla vita adulta.

Aitor in questa property imparerà a liberarsi delle paure, oltre che di un nome, a continuare a cercare, lasciandosi alle spalle la confusione dolorosa provocata dalle certezze altrui, per avventurarsi in un’altra confusione: personale, intima, elettrizzante.





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