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Motomondiale, l’addio delle moto italiane stracciato dal Conte Agusta



Nel lontano dicembre del ’57 lo storico patron della MV convocò i dipendenti per annunciare loro che non avrebbe rispettato il patto di addio alle competizioni pochi mesi prima firmato insieme a Guzzi, Gilera e Mondial. Una decisione che fece scalpore

I primi di dicembre di 66 anni fa, c’è chi dice l’8 dicembre giorno dell’Immacolata concezione, il patron della MV Agusta Domenico Agusta convoca nel suo studio lo sparuto gruppetto di meccanici e tecnici del suo reparto corse per comunicazioni informazioni urgenti. La tensione è alta, per il timore di ricevere dal “signor conte” una brutta notizia: la chiusura del reparto corse. Due mesi prima, a fine settembre ’57, l’MV aveva siglato il patto di astensione dalle corse insieme a Guzzi, Gilera, Mondial. Invece Agusta comunica ai suoi uomini che la MV non riconosce più quel patto. Anzi, la Casa di Cascina Costa disputerà il mondiale ’58 in tutte le cilindrate con uno squadrone: nella 500 Surtees e Venturi più Hartle, Masetti e Bandirola, nella 350 ancora Surtees e Hartle, nella 250 e nella 125 Ubbiali e Provini, più altri piloti nel campionato italiano. 

La decisione

I presenti applaudono e alcuni di loro non riescono a trattenere le lacrime, per la gioia. L’addio alle corse era giunto come fulmine a ciel sereno, dopo che le quattro grandi Case italiane avevano dominato la stagione 1956: specie le MV Agusta iridate con Carlo Ubbiali nelle 125 e 250 e con John Surtees nelle 500 (mai a nessuna Casa era riuscito prima un tale poker!) nonché con la Moto Guzzi con Bill Lomas nelle 350. Ai tedeschi il… contentino dei sidecars con la BMW di Noli-Cron. La stessa FIM (all’epoca l’organizzatrice del Motomondiale) ringraziava le Case italiane senza le quali le corse non si sarebbero potute fare, non certo a questo livello tecnico e agonistico. Gli acerrimi e storici avversari degli italiani, le Case inglesi e tedesche, avevano di fatto alzato bandiera bianca accampando scuse di vario tipo. La verità era una sola, la totale supremazia delle moto Made in Italy e l’incapacità di Norton, BMW, Ajs e via dicendo a contrastarle. Non solo. In Italia, altre Case si stavano preparando per le corse: la Ducati con una fiammante 125 desmodromica affidate alla promessa Degli Antoni, a Romolo Ferri e a Montanari; la Benelli, che pensava al grande ritorno nella 250 dopo la conquista del titolo mondiale del 1950 e il forfait del 1951 causato dalla morte ad Albi di Dario Ambrosini (in effetti la Casa pesarese rientrerà con una inedita mono 4 tempi bialbero nel 1958 a Monza con Silvio Grassetti) e altri marchi “minori”. A fine 1956, per Natale e feste di fine anno, panettone e spumante nei reparti corse dell’industria italiana per brindare ai successi della stagione e a quelli considerati imminenti nel 1957. Domineranno ancora le nostre Case: Mondial (125 con Tarquinio Provini e 250 con Cecil Sandford), Guzzi (350 con Keith Campbell), Gilera (500 con Libero Liberati). Ma, alla fine del ’57, non ci saranno più brindisi. 

Fine di un’epoca

E’ stata la fine di un’epoca, anzi di una epopea. Un colpo durissimo per le corse e per l’industria italiana. La via aperta ai giapponesi. La domanda si ripropone: perché le nostre grandi Case si ritirarono dalle competizioni proprio al culmine dei loro trionfi, con strutture e professionalità al top mondiale e con moto di raffinata e ardita tecnologia come dimostrato dalla portentosa 500 8 cilindri 4 tempi della Guzzi, emblema di bolidi straordinari frutto dell’ingegno e dell’intraprendenza del Made in Italy, lasciando campo libero agli avversari, in primis all’industria del Sol Levante? All’epoca, la prima motivazione del forfait, “abbandoniamo perché i regolamenti dal 1958 proibiscono le carenature integrali”, fu una trovata maldestra quanto beffarda. Peggio ancora la seconda supponente motivazione: “Abbandoniamo per mancanza di avversari”, considerando la partecipazione di altre Case italiane ed europee e, soprattutto, l’annunciato arrivo nel Motomondiale delle Case giapponesi, già nel 1959 presenti in forza al TT inglese con Honda, seguita poi da Suzuki, Yamaha, Kawasaki, Bridgestone, anticipando i grandi successi in pista e nei mercati. Anche in questo caso, non si può incolpare il destino cinico e baro. Le Case impegnate nelle corse lasciarono il campo, non solo e non tanto per le grandi risorse umane e finanziarie necessarie per le competizioni, ma perché non credevano più che la motocicletta avesse un futuro. In tale prospettiva le corse diventavano non più un valore aggiunto e una risorsa, bensì un lusso non più sostenibile anche per grandi Case: le vittorie non avevano (più) una ricaduta diretta sulle vendite, non erano (più) il fiore all’occhiello ma un deleterio cappio al collo. Questa, almeno, la valutazione di Guzzi, Gilera, Mondial e anche della MV (la Casa di Cascina Costa aveva comunque le spalle coperte grazie alla sua produzione aeronautica, in primis gli elicotteri) che le portò alla scelta dell’addio alle corse. Ma furono davvero le corse a mettere in crisi quelle aziende? O non fu l’incapacità di adeguare il prodotto “motocicletta” alle nuove esigenze dei mercati e al rapporto con la travolgente automobile, e di non valutare appieno il “valore” delle corse nel nuovo contesto, non solo quale banco di prova per la produzione di serie, ma insostituibile strumento per l’identità del Marchio aziendale? Invece di cogliere le nuove sfide e di rilanciare, innovando, si decise di alzare bandiera bianca, recidendo il ramo dell’eccellenza e dell’immagine, il più appetibile per l’appassionato-consumatore, quello che più stimolava la stessa pianta a dare i suoi frutti migliori. 

La commozione di John

Di certo, quel “patto di astensione” del ’57 fu una sconfitta, una grande occasione perduta. Quel patto di “addio alle armi” era stato ufficializzato il 26 settembre 1957, sottoscritto anche dalla varesina MV Agusta, che poi, non senza strascichi polemici, farà dietrofront e ritirerà il proprio forfait dominando dal 1958 la scena per molte stagioni (quell’anno fece il poker con Ubbiali nella 125, con Provini nella 250, con Surtees nelle 350 e 500), con i propri bolidi marcati sui serbatoi con l’ambigua e opportunistica dicitura “privat”. In questo contesto, il Motomondiale 1958 sarà pertanto monocolore: per la prima volta una Casa farà sua tutti i titoli (escluso quello dei sidecar) e per la prima volta otto titoli saranno assegnati a una sola Marca, appunto la MV Agusta. Solo una volta, all’esterefatto Jonh Surtees, il conte Agusta motivò la sua decisione di ritirarsi dal patto di astensione e tornare sui suoi passi, alle corse. “Mi pareva una fuga, una sconfitta, non solo personale ma per tutta la MV, per tutti i dipendenti, specie per i piloti e miei tecnici del reparto corse. A me non piacciono né le fughe né le sconfitte”. Quando, oramai vent’anni fa, “Big John” raccontava questa vicenda all’estensore di queste note, si era passato un fazzoletto rosso sui suoi occhi lucidi.